Il caso Megaupload spaventa il mondo del file-sharing

 

martedì 24 gennaio 2012 19:12


Come forse molti lettori sanno, la scorsa settimana l’FBI ha messo i sigilli ai server di Megaupload noto servizio di filesharing via Web, gratuito e a pagamento, fondato da Kim Schmitz, 38enne ex-hacker tedesco, già noto, nell’arco della sua carriera professionale, per aver agito più volte al di fuori della legalità.

Ora Schmitz, arrestato in Nuova Zelanda con un mandato di cattura internazionale, rischia la bellezza di 50 anni di carcere e la cosa non ha mancato di innervosire parecchia genta, prima fra tutte la comunità mondiale degli hacker, che da qualche giorno si sono fatti un punto d’onore di oscurare (cosa riuscita solo temporaneamente) tutti i siti delle entità a qualche titolo coinvolte nella vicenda – si va dalla Universal Music, alla RIAA, all’FBI, passando persino per il Web della nostrana SIAE.

Ma nonostante questa ritorsione, il colpo assestato a Megaupload rischia di essere il più colossale colpo mai assestato dall’industria discografica ai pirati digitali del copyright, tant’è che molte delle altre realtà similari a Megaupload, hanno già deciso di correre ai ripari, prima di subire la stessa sorte dell’ex-concorrente.

È così che Filesonic, ad esempio, ha deciso di chiudere definitivamente la possibilità di scambiarsi i file agli utenti del proprio servizio, inserendo sulla home del proprio sito il seguente laconico messaggio (traduciamo dall’inglese):

Ogni funzionalità di condivisione è ora disabilitata su Filesonic. Il nostro servizio può essere usato soltanto per caricare e scaricare i file che voi stessi avete uploadato personalmente.

Se questo file appartiene a voi, per favore, effettuate la login per scaricarlo direttamente dal vostro file manager.

Su altri sistemi di filesharing (ad esempio Fileserve e uploaded.to), invece, quasi tutti i file risultano indisponibili o cancellati, perché, a quanto pare, i gestori si sono improvvisamente peritati di verificare se il materiale condivisio violasse o meno le normative in materia di diritto d’autore.

Sembra quindi che, almeno in questo caso, il motto secondo cui bisogna “punirne uno, per educarne cento” abbia funzionato.